
Coronavirus, Bove “Fase 2? Cultura della sterilità, attenzione all’igiene personale, utilizzo di mascherine”
Il Primario Reparto di Chirurgia Ortopedica Istituto Neurotraumatologico Italiano “Fondamentale continuare a rispettare le norme”
Cultura della sterilità, attenzione all’igiene personale, utilizzo di mascherine e protezione dei luoghi di lavoro. Queste per Francesco Bove, Primario Reparto di Chirurgia Ortopedica Istituto Neurotraumatologico Italiano di Grottaferrata, le premesse necessarie per affrontare la Fase 2 legata all’epidemia di Covid-19. Oltre a questo, nel dopo emergenza, andrà rivista anche l’organizzazione dello stesso Sistema sanitario nazionale, a partire dalla formazione.
Professor Bove, si avvicina il 3 maggio, data di scadenza delle misure restrittive, e si parla con sempre più insistenza di Fase 2. Come possiamo immaginarla?
Per quanto riguarda la ripresa delle attività produttive già si è detto tanto, si dovrà continuare a porre molta attenzione al distanziamento sociale, così come all’uso di Dispositivi di protezione individuale. Io sono favorevole all’uso di mascherine. Non capisco questa battaglia sterile sull’importanza o meno del loro utilizzo. Sono necessarie per preservare gli altri e per difenderci.
Questo è anche un problema di cultura dal momento che non eravamo abituati a questo distanziamento sociale né al ricorso a DPI.
Dovremo continuare ad avere un grande senso di responsabilità nell’osservazione di queste norme. Tutti devono sapere che è necessario porre molta attenzione all’igiene, a prescindere dalle pandemie, a tutela della salute personale e comunitaria. Questo tema dovrebbe rientrare anche nei futuri programmi di formazione scolastica. Altro aspetto importante è quello delle visite dei parenti in ospedale. Questa è una norma anti igenica della portata incredibile.
Un comportamento che può mettere a rischio la salute di soggetti più fragili, viene in mente anche quanto accaduto nelle RSA.
Certo, abbiamo visto nelle RSA quello che può accadere. L’usanza italiana di andare a trovare i malati in ospedale, è una mancanza di rispetto per il malato stesso. C’è un problema culturale importante. Non a caso, anche l’Oms si è concentrata sulla semplicità di alcuni messaggi sull’importanza di norme basilari di igiene personale. Alla stessa maniera, è importante anche limitare questi comportamenti e usanze spesso radicate nella nostra cultura. Gli ospedali possono diventare pericolosi focolai. Sulle RSA, invece, il discorso è un po’ diverso.
Cosa intende?
Queste strutture non hanno personale altamente specializzato. Sono per lo più luoghi di aggregazione. E’ ovvio che in contesti di questo genere, con ospiti fragili e di età avanzata, basti una piccola scintilla per far scattare scenari pericolosi. Ci vuole una cultura della sterilità. Anche usare i guanti può essere pericoloso se non fatto correttamente. Allo stesso modo, bisogna capire come indossare correttamente le mascherine, altrimenti anche queste diventano inutili.
E sui test sierologici?
Dobbiamo poter contare su test sierologici attendibili. Questi saranno necessari per realizzare studi di sieroprevalenza. Solo così potremmo avere un’idea più precisa della reale circolazione del virus nel Paese negli ultimi mesi. Altro elemento importante sarà poi un sistema di tracciamenti per un intervento tempestivo sul territorio laddove necessario. Ci vorrà più di un anno prima di poter disporre di un vaccino.
Una volta conclusa l’emergenza, come dovrà organizzarsi il Ssn nel post Covid?
Ad oggi abbiamo sospeso e rimandato interventi non urgenti. In Fase 2 bisognerà creare percorsi intermedi, riprendendo in mano tanti interventi messi da parte in quest’ultimo periodo. Ma l’insegnamento principale che dobbiamo trarre da questa esperienza è l’importanza di investire nel Servizio sanitario nazionale. Ad oggi abbiamo anche un livello di spesa in rapporto al Pil tra i più bassi d’Europa. Potremmo poi sfruttare maggiormente anche il privato. Anche questa può essere una risorsa aggiuntiva per il Ssn.
In che modo?
Il pubblico si potrebbe occupare delle garanzie più importanti per il cittadino come l’emergenza e le grandi patologie: da quelle infettive alla grande chirurgia oncologica e grande chirurgia dei trapianti, fino ai grandi traumi. Il privato, invece, potrebbe occuparsi della parte elettiva, quella programmabile. Il privato rappresenta un costo fisso che non va incontro a deficit, e questo alleggerisce molto il mercato. Questo prestazioni elettive sono programmabili e potrebbero essere un’opportunità per liberare le liste d’attesa. C’è poi da affrontare il tema legato alla formazione.
Anche questa andrebbe modificata?
Basti dire che in Germania gli infermieri intubano i malati eseguendo un lavoro altamente specializzato. Noi abbiamo invece inseguito una formazione di tipo scolastico. In questa fase pensi come potevano essere utili infermieri che intubano. Un solo anestesista avrebbe potuto così governare 4 o 5 sale operatorie. Sarà poi necessario porre una maggiore attenzione ad un’adattabilità delle strutture. In Germania avevano una dotazione di partenza di 28.000 posti letto di terapia intensiva. Da noi siamo partiti con poco più di 5.000 posti. Reversibilità significa far funzionare determinati posti anche per altro, quando non saranno più necessari determinate finalità, facendosi però trovare pronti in caso di emergenza. Serve poi un cambiamento culturale che veda i medici migliori in prima linea.
Si spieghi meglio.
Dobbiamo riportare la centralità del medico nel sistema. La sanità si è troppo concentrata negli ospedali e si è abbandonato il territorio. Negli ospedali ci si cura, ma l’epidemiologia si fa sul territorio. Anche lì ci vuole una rivoluzione, il medico di base è sottostimato. Questo è uno dei tanti problema che dovrà essere affrontato. Dobbiamo far sì che le opinioni degli esperti tornino a contare. Ad oggi troppe decisioni sono prese solo per interessi di tipo politico e non tecnico.